La settimana appena trascorsa è stata segnata da una serie di tragedie nell’ambito lavorativo. Tante, troppe persone, ancora perdono la vita sul posto di lavoro in Italia. La vicenda come quella di Luana D’Orazio, morta in una fabbrica tessile nel Pratese, o quella di Maurizio Gritti, hanno scosso l’opinione pubblica e aperto un giusto dibattito.
Si può morire di lavoro?
L’Inail ce lo racconta come solo con i numeri, nella loro freddezza, sanno fare. Nel primo trimestre di quest’anno sono state 185 le morti sul lavoro, 19 in più rispetto alle 166 denunce registrate nel primo trimestre del 2020. In un anno dunque c’è stato un incremento significativo del +11,4%. Il triste aumento si registra in modo uniforme in diversi settori. Ma anche le divisioni per sesso e cittadinanza modificano poco la visione d’insieme. Ad esempio le fatalità maschili denunciate sono passate da 155 a 171, quelli femminili da 11 a 14. Mentre l’incremento riguarda soprattutto lavoratori italiani da 137 a 158. In diminuzione le ‘morti bianche’ tra comunitari ed extracomunitari, che comunque rimangono inaccettabili. I motivi sono diversi, non ultimo quello dovuto all’aumento della povertà generalizzata che spinge i lavoratori nei settori manuali a chiudere un occhio sulle protezioni sul posto di lavoro. Ne avevamo parlato anche QUI.
Anche a livello regionale le cose non vanno diversamente, con l’aumento generalizzato in quasi tutte le regioni. L’aumento più consistente si registra nel Lazio (+12 casi), l’Abruzzo (+8), la Lombardia (+6) e la Campania (+5). Il triste computo completo è reperibile a questo LINK.
Le raccomandazioni sono sempre le stesse: aumentare le ispezioni da parte delle istituzioni; incrementare la prevenzione, i corsi sulla sicurezza interna e i Dpi utili da parte dei datori. Con una consapevolezza. Esistono tante Luana o Maurizio quanti sono le aziende, indipendentemente dal settore. Lavoratori e management devono collaborare attivamente alla messa in sicurezza dei luoghi di lavoro. Con un obbiettivo: arrivare a rispondere ‘No, non è possibile’ alla domanda iniziale. E non è una banalità.